mercoledì 8 maggio 2024

 

Pensieri

 

POLVERE, INDIZIO DI VITA



Ma di per sé, originariamente e a tutti i gradi, la polvere è un indizio di vita nascente.1

Questa frase sorprendente è contenuta nel saggio di Teilhard de Chardin: Abbozzo di un universo personalista, contenuto nel testo L’energia umana. La tesi fondamentale di questo libro, semplificando al massimo, è che l’evoluzione costatata dalle osservazioni scientifiche ha una precisa direzione di sviluppo, che è la spiritualizzazione della materia. Questo processo ha negli esseri umani il suo momento di consapevolezza e di azione cosciente, affinché la presenza dello Spirito divino da cui tutto procede sia sempre più evidente e sostenga il cammino in avanti verso la Parusia.

Ma perché mi sorprende questa frase? Perché “la polvere”, nel mio immaginario, rappresenta il ritorno allo stato originario puramente materiale del mio corpo morto, mentre de Chardin mi dice che è “indizio di vita nascente”. La polvere, proprio lei. Oppure, potrei dire, proprio io?

Ecco allora che si forma un pensiero diverso riguardo ciò che chiamiamo “materia”, che abbiamo sempre considerato l’elemento passivo e inerte su cui possiamo operare a nostro piacimento per raggiungere i nostri scopi, per realizzare i nostri progetti: la materia è vita, è l’origine stessa della nostra esistenza e tutto ciò che chiamiamo “io” o “noi” si compie nella materia stessa che noi siamo.

È necessario quindi ripensare il nostro modo di considerarla.

Inizialmente pensavo che spiritualizzare la materia volesse significare che, attraverso il mio/nostro operato, ciò che esiste nel nostro mondo dovesse farsi trasparenza dello Spirito presente nell’Universo. Certamente questa è una valida interpretazione, ed è anche quella che ci propone Teilhard de Chardin.

Ma, se prendiamo sul serio la frase in esergo, e diciamo che la polvere è vita nascente, noi diciamo nello stesso tempo che la polvere è spirito, poiché lo spirito è vita. È quindi originariamente che la materia è spirito, non è quindi ciò che ci separa dallo spirito, ciò di cui dobbiamo diffidare perché ci allontana, ci devia, ci trascina lontano dallo spirito che è l’unico nostro bene; spiritualizzare la materia non avviene all’esterno di noi stessi: siamo invitati a renderci conto dello spirito che è la stessa materia di cui siamo fatti, in cui siamo immersi e che usiamo senza questa consapevolezza. .

Troviamo questo pensiero chiaramente espresso nel Vangelo di Marco 7, 14-23: “Poi chiamata la folla a sé, diceva loro:«Non c’è nulla fuori dell’uomo che entrando in lui possa contaminarlo; sono le cose che escono dall’uomo quelle che contaminano l’uomo». Quando lasciò la folla ed entrò in casa, i suoi discepoli gli chiesero di spiegare quella parabola. Egli disse loro:«Neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che dal di fuori entra nell’uomo non lo può contaminare, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e se ne va nella latrina?». Così dicendo, dichiarava puri tutti i cibi. Diceva inoltre:«È quello che esce dall’uomo che contamina l’uomo; perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dal di dentro e contaminano l’uomo»”.

Materia e spirito sono i nomi che noi assegniamo a differenti percezioni attraverso le quali conosciamo ciò con cui entriamo in relazione, e noi stessi.

Materia è generalmente ciò che cogliamo con i sensi protesi all’esterno, mentre spirito è ciò che sperimentiamo con una sorta di senso interno, che pare esistere indipendentemente dalle limitazioni di tempio e spazio cui sembra invece soggetta la materia. Inoltre, mentre la materia ci si mostra inerte, passiva, senza coscienza, senza vita e libertà, lo spirito ci appare dinamico, attivo, portatore di coscienza, vita e libertà; diciamo infatti: «Lo Spirito soffia dove vuole», e lo paragoniamo al vento, inafferrabile e presente.

Questa sorta di dualismo è però solo un’ipotesi di lavoro, su cui già gli antichi greci si accapigliavano.

Nel nostro secolo la scienza è giunta a mostrarci che ciò che noi chiamiamo materia è una nostra invenzione, una specie di convenzione, come il tempo, che ci serve per definire alcuni aspetti del nostro quotidiano, per vivere in relazione con altre e altri da noi.

Quel che sappiamo oggi sulla materia è che ciò che noi vediamo è frutto di legami energetici tra particelle: non vi è quindi inerzia o passività, ma la materia stessa è dinamica e in grado di mettere in atto aggregazioni libere e in parte imprevedibili.

Questo ci induce a mettere in discussione il dualismo materia/spirito su cui è fondata gran parte della nostra azione e del nostro pensiero: in realtà non vi sono, come riteneva Cartesio, una res cogitans e una res extensa, ma un’unica res, un’unica “cosa”, che non possiamo chiamare sostanza e possiamo solo indicare col termine di vita: la vita accade come unità di ciò che generalmente chiamiamo materia e spirito.

Sento già voci, tra fumi infernali: «Allora sei animista!», oppure: «Panteista!»

Rispettiamo le diverse idee, ma qui non vi è niente di tutto questo.

L’anima, psyché, costituisce la coscienza personale di un essere, la sua autocoscienza; ma l’anima di cui parliamo è quella specificamene umana, certamente anch’essa determinata dalle dinamiche energetiche che si sviluppano nella mente/cervello.

Non possiamo quindi pensare di relazionarci con la materia come facciamo con i nostri simili; questo però non esclude che vi siano delle forme di coscienza diverse da quella umana, generate dagli stessi dinamismi energetici che hanno formato la coscienza umana: stiamo scoprendo solo ora la sensibilità e i modi così vari e ingegnosi delle piante per comunicare e lo stesso mondo animale, man mano che lo osserviamo cercando di dislocarci dal nostro antropocentrismo, ci si rivela molto più consapevole e complesso di quanto credevamo.

Poco o nulla per ora sappiamo del mondo minerale, da cui originariamente si forma la materia organica di cui siamo composti, e il futuro potrebbe riservarci delle sorprese.

Certo, questa diversa consapevolezza riguardo alla materia di cui siamo fatti e in cui siamo immersi ci pone nuove domande e chiede da parte nostra una rielaborazione della reciproca relazione.

La materia ci si offre affinché noi possiamo vivere, è vita in continuo farsi: l’errore che compiamo è utilizzarla come cosa inerte, come cosa morta, mentre vi è in essa una vita, uno spirito che va compreso e rispettato. È quindi il nostro atteggiamento interiore che va mutato: non dobbiamo noi, con i nostri sforzi, spiritualizzare la materia, ma renderci conto dello spirito che vi è in essa fin dall’origine ed avvicinarla non come padroni che fanno di essa ciò che vogliono, ma come elementi dello stesso spirito di cui essa è fatta, accogliendo il suo esistere come un’offerta di comunione da ricambiare, come ospiti presenti alla stessa tavola.

È una prospettiva che induce a una severa revisione delle nostre relazioni con le cose: perché accumulare, perché consumare oltre il necessario, perché inventare futili oggetti a cui diamo un valore di competizione con l’altro, perché non curare la natura che ci ospita, perché non sviluppare la capacità di comunicare e creare amore e bellezza invece che odio e violenza?

Rivoluzionando il nostro rapporto con le cose, cogliendone lo spirito di cui sono fatte, il nostro cuore sarà in sintonia con tutto il creato, non produrrà più “cose cattive”. E la polvere continuerà ad essere sempre “indizio di vita nascente”.

Lo Spirito è quindi un’energia operante nell’Universo? È anche fisicamente riconoscibile per certi aspetti?

Con Teilhard de Chardin potremmo dire di sì: nell’Universo è all’opera l’energia dello Spirito, che si addensa e prende forma.

Ma, a mio parere, non siamo soggetti a un evoluzionismo escatologico, in cui l’uomo ha il dovere di agire per portare a compimento la spiritualizzazione del cosmo, che è il fine di ciò che esiste, il motivo del passato che ci sta alle spalle: è questa la visione di Teilhard de Chardin.

Non dobbiamo collaborare alla spiritualizzazione della materia, perché la materia è già spirituale: ciò che gli esseri umani devono ancora fare è accorgersene, attraverso la scienza, la tecnica e l’esperienza personale e collettiva.

Si tratta quindi di mettere in opera un radicale cambio di prospettiva, che è proprio quello proposto dai Vangeli: un sovvertimento di valori che può cambiare totalmente il nostro modo di vivere. Sarà necessario rileggerli attentamente da questo punto di vista.

Ciò che hanno colto gli evangelisti è una diversa relazione di Gesù con la materia, con ciò che ancora chiamiamo corpo e anima: i miracoli sono una narrazione di questo, la stessa resurrezione ne è testimonianza..

Ma l’indicazione fondamentale sulla vita la troviamo nel Vangelo di Matteo 6, 26-29: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.»

Significa che dobbiamo essere passivi, non fare niente? È proprio questo che fanno gli uccelli e i gigli del campo? No. Essi vivono la loro vita, crescono, si sviluppano, ci intrattengono con i loro canti e danno gioia ai nostri occhi, oltre a svolgere importanti funzioni di equilibrio ecologico che garantiscono anche la nostra esistenza: sono una manifestazione di gloria, una gloria molto maggiore di quella che ogni essere umano possa concepire, addirittura superiore a quella del più glorioso tra i re: Salomone.

Ce lo ha già detto Ireneo: “Gloria di dio è l’uomo vivente!”. Ognuno di noi è quindi, come gli uccelli del cielo e i gigli del campo, una manifestazione della gloria di Dio: Gesù ci dice di vivere consapevoli di questa grazia originaria, secondo giustizia, oggi, qui, insieme.

Quindi il nostro compito fondamentale è vivere: siamo lode di gloria.

La stessa morte in questa ottica perde il suo pungiglione, perché, pur con tutto il carico di sofferenza e dolore che porta con sé, non è un’estinzione totale: fa parte della stessa vita.

Tutto ciò che non si radica in questa verità primordiale, ha perduto il senso del suo esistere.

E la domanda di Gesù: «Non contate voi forse più di loro?», è, molto probabilmente, una divina ironia.

1T. de Chardin, L’energia umana, Nuove Pratiche Editrice, Parma 1997, 60.


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