Pensieri
POLVERE,
INDIZIO DI VITA
Ma
di per sé, originariamente e a tutti i gradi, la polvere è un
indizio di vita nascente.
Questa
frase sorprendente è contenuta nel saggio di Teilhard de Chardin:
Abbozzo di un universo personalista,
contenuto nel testo
L’energia umana. La
tesi fondamentale di questo libro, semplificando al massimo, è che
l’evoluzione costatata dalle osservazioni scientifiche ha una
precisa direzione di sviluppo, che è la spiritualizzazione della
materia. Questo processo ha negli esseri umani il suo momento di
consapevolezza e di azione cosciente, affinché la presenza dello
Spirito divino da cui tutto procede sia sempre più evidente e
sostenga il cammino in avanti verso la Parusia.
Ma
perché mi sorprende questa frase? Perché “la polvere”, nel mio
immaginario, rappresenta il ritorno allo stato originario puramente
materiale del mio corpo morto, mentre de Chardin mi dice che è
“indizio di vita nascente”. La polvere, proprio lei. Oppure,
potrei dire, proprio io?
Ecco
allora che si forma un pensiero diverso riguardo ciò che chiamiamo
“materia”, che abbiamo sempre considerato l’elemento passivo e
inerte su cui possiamo operare a nostro piacimento per raggiungere i
nostri scopi, per realizzare i nostri progetti: la materia è vita, è
l’origine stessa della nostra esistenza e tutto ciò che chiamiamo
“io” o “noi” si compie nella materia stessa che noi siamo.
È
necessario quindi ripensare il nostro modo di considerarla.
Inizialmente
pensavo che spiritualizzare la materia volesse significare che,
attraverso il mio/nostro operato, ciò che esiste nel nostro mondo
dovesse
farsi
trasparenza dello Spirito presente nell’Universo. Certamente questa
è una valida interpretazione, ed è anche quella che ci propone
Teilhard de Chardin.
Ma,
se prendiamo sul serio la frase in esergo, e diciamo che la polvere è
vita nascente,
noi diciamo nello stesso tempo che la polvere è spirito, poiché lo
spirito è vita. È quindi originariamente che la materia è spirito,
non è quindi ciò che ci separa dallo spirito, ciò di cui dobbiamo
diffidare perché ci allontana, ci devia, ci trascina lontano dallo
spirito che è l’unico nostro bene; spiritualizzare
la materia non avviene all’esterno di noi stessi: siamo invitati a
renderci conto dello spirito che è la stessa materia di cui siamo
fatti, in cui siamo immersi e che usiamo senza questa consapevolezza.
.
Troviamo
questo pensiero chiaramente espresso nel Vangelo di Marco 7, 14-23:
“Poi chiamata la folla a sé, diceva loro:«Non c’è nulla fuori
dell’uomo che entrando in lui possa contaminarlo; sono le cose che
escono dall’uomo quelle che contaminano l’uomo». Quando lasciò
la folla ed entrò in casa, i suoi discepoli gli chiesero di spiegare
quella parabola. Egli disse loro:«Neanche voi siete capaci di
comprendere? Non capite che tutto ciò che dal di fuori entra
nell’uomo non lo può contaminare, perché non gli entra nel cuore
ma nel ventre e se ne va nella latrina?». Così dicendo, dichiarava
puri tutti i cibi. Diceva inoltre:«È quello che esce dall’uomo
che contamina l’uomo; perché è dal di dentro, dal cuore degli
uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi,
adultèri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno,
calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dal
di dentro e contaminano l’uomo»”.
Materia
e spirito sono i nomi che noi assegniamo a differenti percezioni
attraverso le quali conosciamo ciò con cui entriamo in relazione, e
noi stessi.
Materia
è generalmente ciò che cogliamo con i sensi protesi all’esterno,
mentre spirito è ciò che sperimentiamo con una sorta di senso
interno, che pare esistere indipendentemente dalle limitazioni di
tempio e spazio cui sembra invece soggetta la materia. Inoltre,
mentre
la materia ci si mostra inerte, passiva, senza coscienza, senza vita
e libertà, lo spirito ci appare dinamico, attivo, portatore di
coscienza, vita e libertà; diciamo infatti: «Lo Spirito soffia dove
vuole», e lo paragoniamo al vento, inafferrabile e presente.
Questa
sorta di dualismo è però
solo
un’ipotesi di lavoro, su cui già gli antichi greci si
accapigliavano.
Nel
nostro secolo la scienza è giunta a mostrarci che ciò che noi
chiamiamo materia è una nostra invenzione, una specie di
convenzione, come il tempo, che ci serve per definire alcuni aspetti
del nostro quotidiano, per vivere in relazione con altre e altri da
noi.
Quel
che sappiamo oggi sulla materia è che ciò che noi vediamo è frutto
di legami energetici tra particelle: non vi è quindi inerzia o
passività, ma la materia stessa è dinamica e in grado di mettere in
atto aggregazioni libere e in parte imprevedibili.
Questo
ci induce a mettere in discussione il dualismo materia/spirito su cui
è fondata gran parte della nostra azione e del nostro pensiero: in
realtà non vi sono, come riteneva Cartesio, una res
cogitans
e una res
extensa,
ma un’unica res,
un’unica “cosa”, che non possiamo chiamare sostanza e possiamo
solo indicare col termine di vita:
la vita accade come unità di ciò che generalmente chiamiamo materia
e spirito.
Sento
già voci, tra fumi infernali: «Allora sei animista!», oppure:
«Panteista!»
Rispettiamo
le diverse idee, ma qui
non vi è niente di tutto questo.
L’anima,
psyché,
costituisce la coscienza personale di un essere, la
sua autocoscienza;
ma l’anima di cui parliamo è quella specificamene umana,
certamente anch’essa determinata dalle dinamiche energetiche che si
sviluppano nella mente/cervello.
Non
possiamo quindi pensare di relazionarci con la materia come facciamo
con i nostri simili; questo però non esclude che vi siano delle
forme di coscienza diverse da quella umana, generate dagli stessi
dinamismi energetici che hanno formato la coscienza umana: stiamo
scoprendo solo ora la sensibilità e i modi così vari e ingegnosi
delle piante per comunicare e lo stesso mondo animale, man mano che
lo osserviamo cercando di dislocarci dal nostro antropocentrismo, ci
si rivela molto più consapevole e complesso di quanto credevamo.
Poco
o nulla per ora sappiamo del mondo minerale, da cui originariamente
si forma la materia organica di cui siamo composti, e il futuro
potrebbe riservarci delle sorprese.
Certo,
questa diversa consapevolezza riguardo alla materia di cui siamo
fatti e in cui siamo immersi ci pone nuove domande e chiede da parte
nostra una rielaborazione della reciproca relazione.
La
materia ci si offre affinché noi possiamo vivere, è vita in
continuo farsi: l’errore che compiamo è utilizzarla come cosa
inerte, come cosa morta, mentre vi è in essa una vita, uno spirito
che va compreso e rispettato. È quindi il nostro atteggiamento
interiore che va mutato: non dobbiamo noi, con i nostri sforzi,
spiritualizzare la materia, ma renderci conto dello spirito che vi è
in essa fin dall’origine ed avvicinarla non come padroni che fanno
di essa ciò che vogliono, ma come elementi dello stesso spirito di
cui essa è fatta, accogliendo il suo esistere come un’offerta di
comunione da ricambiare, come ospiti presenti alla stessa tavola.
È
una prospettiva che induce a una severa revisione delle nostre
relazioni con le cose: perché accumulare, perché consumare oltre il
necessario, perché inventare futili oggetti a cui diamo un valore di
competizione con l’altro, perché non curare la natura che ci
ospita, perché non sviluppare la capacità di comunicare e creare
amore e bellezza invece che odio e violenza?
Rivoluzionando
il nostro rapporto con le cose, cogliendone lo spirito di cui sono
fatte, il nostro cuore sarà in sintonia con tutto il creato, non
produrrà più “cose cattive”. E la polvere continuerà ad essere
sempre “indizio di vita nascente”.
Lo
Spirito è quindi un’energia operante nell’Universo? È
anche fisicamente riconoscibile per certi aspetti?
Con
Teilhard de Chardin potremmo dire di sì: nell’Universo è
all’opera l’energia dello Spirito, che si addensa e prende forma.
Ma,
a mio parere, non siamo soggetti a un evoluzionismo escatologico, in
cui l’uomo ha il dovere di agire per portare a compimento la
spiritualizzazione del cosmo, che è il fine di ciò che esiste, il
motivo del passato che ci sta alle spalle: è questa la visione di
Teilhard de Chardin.
Non
dobbiamo collaborare alla spiritualizzazione della materia, perché
la materia è già spirituale: ciò che gli esseri umani devono
ancora fare è accorgersene, attraverso la scienza, la tecnica e
l’esperienza personale e collettiva.
Si
tratta quindi di mettere in opera un radicale cambio di prospettiva,
che è proprio quello proposto dai Vangeli: un sovvertimento di
valori che può cambiare totalmente il nostro modo di vivere. Sarà
necessario rileggerli attentamente da questo punto di vista.
Ciò
che hanno colto gli evangelisti è una diversa relazione di Gesù con
la materia, con ciò che ancora chiamiamo corpo e anima: i miracoli
sono una narrazione di questo, la
stessa resurrezione ne è testimonianza..
Ma
l’indicazione fondamentale sulla vita la troviamo nel Vangelo di
Matteo 6, 26-29: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né
mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li
nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi per quanto si
dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché
vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del
campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche
Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.»
Significa
che dobbiamo essere passivi, non fare niente? È proprio questo che
fanno gli uccelli e i gigli del campo? No. Essi vivono la loro vita,
crescono, si sviluppano, ci intrattengono con i loro canti e danno
gioia ai nostri occhi, oltre
a svolgere importanti funzioni di equilibrio ecologico che
garantiscono anche la nostra esistenza:
sono una manifestazione di gloria, una gloria molto maggiore di
quella che ogni essere umano possa concepire, addirittura superiore a
quella del più glorioso tra i re: Salomone.
Ce
lo ha già detto Ireneo: “Gloria di dio è l’uomo vivente!”.
Ognuno di noi è quindi, come gli uccelli del cielo e i gigli del
campo, una manifestazione della gloria di Dio: Gesù ci dice di
vivere consapevoli di questa grazia originaria, secondo giustizia,
oggi, qui, insieme.
Quindi
il nostro compito fondamentale è
vivere:
siamo
lode di gloria.
La
stessa morte in questa ottica perde il suo pungiglione, perché, pur
con tutto il carico di sofferenza e dolore che porta con sé, non è
un’estinzione totale: fa parte della stessa vita.
Tutto
ciò che non si radica in questa verità primordiale, ha perduto il
senso del suo esistere.
E
la
domanda di Gesù: «Non contate voi forse più di loro?», è, molto
probabilmente,
una divina ironia.