Pensieri
Resurrezione
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Vorrei introdurre le mie riflessioni con un brano del neurologo, neuroscienziato, psicologo e saggista Antonio Rosa Damasio, portoghese, autore di fondamentali pubblicazioni sulla memoria, la fisiologia delle emozioni e la malattia di Alzheimer.
Il suo lavoro clinico e teorico ha mostrato l’importanza delle emozioni e dei sentimenti nella formulazione del pensiero, e quindi delle nostre scelte, e il loro legame intrinseco con l’insieme del nostro organismo.
Dice Damasio:
Ma la mente davvero intrisa nel corpo per come la vedo io non abbandona i livelli più raffinati di attività, quelli che ne costituiscono l’anima e lo spirito. Nella mia prospettiva, anima e spirito, con tutta la loro dignità e misura umana, sono ora stati, complessi e unici, di un organismo. Forse la cosa davvero indispensabile che noi come esseri umani possiamo fare è ricordare a noi stessi e agli altri, ogni giorno , la nostra complessità, fragilità, finitezza e unicità. E qui sta il difficile: non nel muovere lo spirito dal suo piedistallo sul nulla a un qualche sito preservandone dignità e importanza, ma nel riconoscerne la vulnerabilità, le umili origini, e tuttavia continuare a fare appello alla sua guida1.
Se non comprendo male, ciò che viene qui affermato è che l’anima e lo spirito sono strettamente collegati con il nostro corpo: senza di esso non potrebbero esistere e costituire l’individuo che noi siamo. Non esiste quindi una mia anima avulsa dalla storia di relazioni che ho vissuto con il mio corpo, e il mio spirito non potrebbe farsi carico di scelte che coinvolgono non solo me, ma la generalità degli esseri umani, senza avere formato con il corpo, con l’organismo in cui si compiono, gli impulsi emotivi e i sentimenti sui quali basare le sue formulazioni e il suo modo di essere.
Dobbiamo quindi arrenderci a un bieco materialismo? Siamo quindi delle macchine di cui la scienza poco a poco dipanerà tutti i segreti? O è proprio questa consapevolezza che può condurci a una più chiara comprensione di alcuni aspetti apparentemente non giustificati sui quali si fonda la fede cristiana?
Cartesio aveva ipotizzato che esistessero due sostanze: quella che costituisce il pensiero e quella che costituisce il corpo, cioè la materia fisica che ospita il pensiero. La prima è qualcosa di certamente esistente e individuabile perché ne ho diretta consapevolezza, la seconda è mutevole e soggetta alla corruzione; stando così le cose è naturale concludere che sia la res cogitans a signoreggiare sulla seconda, la res extensa.
Ma pare, ahimé, che si sia sbagliato: mente e corpo costituiscono un’unica sostanza, in cui le diverse parti sono continuamente in stretta correlazione, influenzandosi continuamente nel formare l’individuo e i suoi comportamenti, in relazione anche ai legami da cui dipendono e alla natura che li circonda. La mente dipende dal cervello, che è continuamente connesso con le parti che compongono il corpo, e l’anima e lo spirito ne sono i livelli di elaborazione più complessa e raffinata. Dobbiamo quindi dedurne che con l’estinzione del nostro corpo si estingueranno anche la nostra anima e il nostro spirito?
Forse no: sembra invece che a questo punto della nostra storia la scienza e lo spirito si stiano finalmente incontrando nuovamente, e questo può avere grandi conseguenze per il futuro.
Non possiamo ignorare i conseguimenti della fisica quantistica, la nuova idea di materia che ne è scaturita e il fatto che i movimenti che ne determinano le diverse configurazioni rimangono inaccessibili al potere predittivo e progettuale della scienza contemporanea: il mistero intorno all’esistenza appare sempre più multiforme e affascinante, ne apriamo continuamente nuovi squarci, ma il risultato finale è che a ogni conseguimento il mistero pare infittirsi sempre più e che sempre più aree della conoscenza richiedono una connessione spirituale che ci troviamo spesso inadeguati a fornire. Tra gli scienziati stessi vi è chi, in base alla propria esperienza, elabora delle ipotesi che, se da una parte appaiono rivoluzionarie, dall’altra riconducono all’elaborazione filosofica prospettata nel mondo greco: richiamiamo qui il lavoro del noto fisico Federico Faggin, il quale, dopo una vita dedicata alla scienza, a seguito di esperienze spirituali personali è giunto alla conclusione che la coscienza è una realtà irriducibile ad altre componenti, perché è essa stessa l’elemento base costituente dell’universo2. Ne parleremo ancora.
Alla luce di tutto questo, la pretesa cristiana di parlare di resurrezione dei corpi appare allora molto più fondata e plausibile. Ad Atene i Greci risero di Paolo e gli risposero che dell’argomento ne avrebbero parlato in un’altra occasione. Forse ormai l’occasione è arrivata, è arrivato il momento di renderci conto che la morte non può essere la separazione dell’anima dal corpo, per cui un pezzo di noi se ne va da una parte e l’altro si corrompe senza rimedio: noi non saremo mai senza il nostro corpo. Si tratta però di riuscire a pensare anche il nostro corpo in maniera diversa, di riuscire a immaginare l’esperienza dei discepoli di Gesù dopo la sua morte e resurrezione: egli mangiava e beveva con loro, potevano toccarlo; ciononostante il passaggio dalla morte aveva determinato dei cambiamenti: quel corpo era trasfigurato, pur essendo lo stesso, Gesù era proprio lui, ma qualcosa era cambiato. L’attraversamento della soglia della morte aveva generato un altro modo di esistenza, aveva costituito un nuovo inizio, quasi una nascita in una modalità di vita prima inimmaginabile.
La rivelazione della sua resurrezione, grande dono della Pasqua cristiana, apre per noi la possibilità di pensare, di immaginare un oltre la morte in cui la vita non è cessata ma assume altre connotazioni, altri modi di comunicazione, e questo senza entrare in conflitto con la scienza contemporanea.
Il teologo Pierangelo Sequer in un suo articolo dello scorso novembre scriveva:
La resurrezione dei morti, promessa nella fede, non è un complemento ornamentale e allegorico di uno stato che spesso è descritto come una sopravvivenza della mente, più che come una resurrezione della carne. La vita “del mondo che verrà” non sarà senza vita e mondo. Non sarebbe abitabile per noi.
[…] Il libro dell’Apocalisse […] Finisce con l’insediamento della Città Celeste, Città di Dio, città dell’uomo. Finisce con la nuova creazione. Il nostro vecchio arnese, che ci è stato così utile, benché impegnativo da gestire, per l’iniziazione, non sarà più adatto. Ma un corpo risorto ci servirà, eccome. Il Signore stesso, che aveva congedato i suoi dicendo che avrebbero bevuto di nuovo al suo ritorno, si fa riconoscere allestendo un pranzetto sulla riva del lago. Non dovremo stare in chiesa, le chiese non ci saranno più. Difficile da pensare? Certo. Però, credo che la teologia dovrà fare tesoro, d’ora in avanti, di un paio di linee di riflessione che proprio la contemporaneità va allestendo con sorprendente spregiudicatezza. La prima è questa. Impensabile per impensabile, la miracolosa potenza di una intelligenza combinatoria delle parti del reale e delle interiorità della vita, dovrebbe renderci meno dogmatici, anche se siamo un po’ atei. È già successo, almeno due volte,. Il modello standard del cosmo a noi noto (la famosa teoria del Big Bang) trova sorprendentemente plausibile una narrazione che riconosce nella potenza infinitamente concentrata di una infinitesima singolarità iniziale, l’arrivo di un universo incommensurabile, la comparsa dei criceti e degli umani, la Divina Commedia, la Quinta sinfonia, la robotica antropomorfica. Ti pare che possiamo mettere limiti all’immaginazione reale della destinazione promessa dalla Parola di Dio?3
Si tratta quindi di mettere in gioco le nostre conoscenze filosofiche e teologiche con le scoperte della scienza; se il corpo non è soltanto un meccanismo smontabile e rimontabile a piacere, se l’anima e lo spirito degli esseri umani sono strettamente legati ad esso per costituirne la realtà, diventa necessario non sottrarsi alla ricerca di un immaginario che non tolga la materia allo spirito e viceversa, diventa fondamentale essere capaci di rileggere le esperienze del passato, ma anche quelle comuni e quotidiane, in una diversa ottica.
Forse la Resurrezione è più comprensibile e più importante per noi oggi di quanto lo fosse per i discepoli di Gesù Cristo più di duemila anni fa.
1A. R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano.Adelphi, Milano 1995, 341.
2F. Faggin, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori, Milano 2022.
3 P. Sequeri Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà, articolo in “La Rivista del Clero italiano” 11/2022, 749-750..
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