martedì 26 marzo 2024

 

Pensieri


Corpomisticoe resurrezione




Ci siamo lasciati con la riflessione sul lavoro del neuropsichiatra Anil Seth, da cui abbiamo avuto conferma del fatto che il nostro corpo non è uno spiacevole accidente che ci è toccato e che dobbiamo tenere a bada o sotto controllo per raggiungere gli obiettivi di felicità e benessere che ci siamo proposti.

Il corpo è certamente anche un meccanismo, ma non un automa indipendente da noi.

Seth definisce l’essere umano una “macchina bestiale” senza alcun intento offensivo, allo scopo di sottolineare le componenti evolutive che hanno fatto sì che la percezione di sé nel mondo prendesse forma di coscienza di sé, presente nel mondo animale e vegetale; sulla coscienza di quella che chiamiamo “materia” non abbiamo ancora conoscenze certe, pur essendo di essa noi stessi composti.

Il dualismo che ha connotato la nostra educazione fino ad oggi ci rende arduo renderci conto che noi siamo componenti dell’unica vita che in diverse forme si manifesta e che essere vivi è tutto quanto ci è dato.

Nell’ottica della vita come fatto originario e cosmico da cui partire per cercare di comprendere la sua evoluzione, l’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù Cristo, acquista un altro spessore, una maggiore semplicità.

La vita si incarna: non c’è niente di più semplice: come potrebbe non farlo? Proprio perché è vita e gli esseri umani con la loro storia sono la forma che essa ha preso nel tempo, la nascita di Gesù Cristo tra gli esseri umani è l’accadere di un fatto in un tempo opportuno, un kayròs, maturato nel corso delle vicende dell’universo. L’uomo Gesù è il Cristo perché le sue parole e le azioni compiute in un popolo messianico, in quel momento hanno potuto potuto essere comprese e portate avanti.

Chi è Dio se non questo corpo umano che fa vedere come sia possibile essere capaci di amore fraterno, di dono di sé, di potenza tale da compiere miracoli, che mostra come la morte donata sia un seme di resurrezione?

Mi rendo conto ora in modo chiaro che i Vangeli non sono miti, non sono chiacchiere, non sono sogni, non sono racconti alterati dal desiderio distorto di uomini e donne illusi, ma che in ogni sequenza narrata è annunciata una consapevolezza diversa dell’umano, una scienza della vita che ancora non si è pienamente sviluppata e che è stata mostrata in piena luce.

Il fatto stesso che Gesù Cristo sia esistito ci dice la fondamentalità del nostro corpo in quanto luogo del nostro essere vivi. “Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!”, proclamava Ireneo di Lione. Vita da Vita, Gesù e il Padre. E Gesù stesso diceva di sé “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv 14,6). Nello stesso capitolo Gesù afferma che chi crede in lui, che è la vita, sarà in grado di compiere le stesse opere da lui compiute e ancora più grandi.

E non è forse così per chi ha vissuto fino in fondo questo messaggio? La storia cristiana pullula di donne e uomini in cui si è manifestata una potenza inaudita di trasformazione e di vita; ma anche in altre realtà spirituali che hanno accolto questo mistero vitale si hanno esperienze simili, che nascono dalla percezione dell’unità di cui siamo costituiti.

Mi rendo conto che la parola sembra un’anatra zoppa mentre tento di aprire un varco verso l’intuizione che ogni corpo è “mistico”, nello stesso senso in cui si intende l’insieme dei fedeli come Corpo mistico di Cristo: ogni corpo, così ogni corpo umano, è un’esperienza di unione, meglio sarebbe dire proprio com-unione, ciascuno di noi non è solo sé stesso, con la propria storia e identità, con la propria singolarità, ma è la stessa vita che si manifesta e glorifica sé stessa in relazione con l’universo intero.

La consapevolezza dei meccanismi di allucinazione controllata e di predizione baynesiana, cioè statistica, che il nostro cervello mette in atto allo scopo di farci sopravvivere in una realtà complessa di cui non siamo gli unici utenti, ci mostra il dinamismo della vita di cui siamo parte.

Dice Seth nell’Epilogo al testo di cui abbiamo parlato:

I nostri mondi percepiti sono sia meno sia più di qualsiasi cosa questa realtà esterna oggettiva possa essere. I nostri cervelli creano i nostri mondi tramite processi che portano alle migliori ipotesi bayesiane [statistiche n.d.r.], in cui i segnali sensoriali servono primariamente a tenere sotto controllo le nostre ipotesi percettive che si evolvono di continuo. Viviamo entro un’allucinazione controllata che l’evoluzione ha selezionato non per la sua accuratezza, bensì per la sua utilità.”1
L’ultima sfida è stata vedere che il macchinario predittivo della coscienza ha la propria origine e funzione primaria non nella rappresentazione del mondo o del corpo, bensì nel controllo e nella regolazione della nostra condizione fisiologica. La totalità delle nostre percezioni e cognizioni – l’intero panorama dell’esperienza e della vita mentale umana – è foggiata da un profondo impulso biologico a sopravvivere. Percepiamo il mondo intorno a noi, e noi stessi all’interno di esso, con, mediante e a causa dei nostri corpi viventi.2
Legando la nostra vita mentale alla nostra realtà fisiologica abbiamo dato linfa nuova alle concezioni secolari di una continuità tra vita e mente, rinforzandole con i solidi pilastri dell’elaborazione predittiva e del principio di energia libera. E questa profonda continuità ci ha permesso di vedere quanto noi stessi siamo vicini agli altri animali e al resto della natura e, di conseguenza, lontani dal calcolo disincarnato di IA. Mentre coscienza e vita vanno insieme, coscienza e intelligenza sono separate tra loro. Tale riorientameto del nostro posto nella natura vale non solo per i nostri corpi fisici, biologici, ma anche per le nostre menti coscienti, per le nostre esperienze del mondo circostante e dell’essere chi siamo”3
Comunque vada a finire, seguire questa strada ci permetterà di comprendere moltissime cose nuove sulle esperienze coscienti del mondo intorno a noi e di noi all’interno di esso. Vedremo come il nostro universo interiore è parte del resto della natura, e non separato da esso. E, per quanto non vi pensiamo tanto spesso quanto potremmo, avremo l’opportunità di scender a nuovi patti con quello che succede – o non succede – quando l’allucinazione controllata di essere sé scompare nel nulla. Quando l’oblio non è un’interruzione del fiume della coscienza indotta da un’anestesia, bensì un ritorno all’eternità da cui ciascuno di noi una volta è emerso.
Alla fine di questa storia, quando la vita in prima persona raggiunge la sua conclusione, forse non è poi così male che rimanga ancora un po’ di mistero.”4

A prima vista il lavoro di Seth potrebbe apparire come un riduzionismo dell’essere umano ai meccanismi del cervello, un materialismo che utilizza la fenomenologia per supportare i propri assunti.

Di fatto questo lavoro, che nasce in ambito clinico alla ricerca di soluzioni per gravi sofferenze causate sia da traumi che da stress psicofisici, ci offre la possibilità di considerare una grande verità: il nostro corpo è tutto ciò che abbiamo ed è in esso che ci è data la possibilità di sperimentare e considerare fatti che apparivano legati soltanto ad una esteriorità. Di fatto il modo in cui percepiamo ciò che chiamiamo “mondo esteriore” e le azioni che mettiamo in atto per agire in esso, sono una produzione che nasce dal nostro interno e che unisce il dato originario della coscienza, che non è una caratteristica solo umana, all’intelligenza che si è evoluta adattandosi e progettando il modo migliore per sopravvivere, per vivere più a lungo e meglio. Nel Vangelo di Marco 7, 17-23 troviamo espresso chiaramente questo pensiero: “Quindi soggiunse: Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo.” . Nel nostro interno si elaborano i pensieri e che le scelte da cui dipende la vita nostra e degli altri: le intenzioni cattive sono proprie quelle in cui gli altri, il nostro prossimo, non sono considerati parte della nostra vita.

Cosa significa questo per il credente? Buttiamo nella spazzatura anima e spirito e ci accontentiamo della nostra sopravvivenza biologica? Se la vita fosse solo una temporanea sopravvivenza biologica, l’energia evolutiva messa in atto per giungere alla produzione di pensiero e al controllo che esso opera sugli aspetti fisiologici potrebbe essere considerata uno spreco inutile, una casualità insignificante e senza scopo. Se invece la complessità che si è dispiegata nell’evoluzione sta costruendo pezzo a pezzo un mosaico che va formandosi mano mano che i diversi tasselli vengono avvicinati l’uno all’altro e il cui scopo è un sempre maggiore potenziamento della vita, dobbiamo cambiare la prospettiva del nostro lavoro di pensiero.

Se la vita è tutto ciò che abbiamo e che importa, l’incarnazione passione morte e resurrezione di Gesù Cristo sono un momento fondamentale della sua evoluzione, che vuole portarci ad un superiore livello di coscienza e consapevolezza.

Leggere i Vangeli non è allora un esercizio devoto, il racconto di desideri emotivi e psicologici mal compresi, che conduce ad una estenuazione spiritualistica del nostro esistere. Le parole che sono state scritte riportano un’esperienza concreta di vita e condivisione di sapere, che si compie nella compagnia con un maestro; Gesù annuncia il regno di Dio, la presenza e la necessità di una vita che comprenda sé stessa oltre il limite del proprio recinto e mostra incessantemente, indica continuamente la vita come contenuto e scopo dell’intero cosmo, anche nel passaggio attraverso ciò che chiamiamo dolore e morte.

Non si tratta quindi di una dottrina sulla quale costruire castelli devozionali e pie pratiche, strutture caduche e gabbie istituzionali: nei Vangeli possiamo meditare e fare nostra una sapienza di vita che si è addensata in un momento del tempo e che si sta ancora dispiegando, che in ogni tempo si illumina di nuovi significati in relazione al cammino che la vita dell’universo compie nell’essere umano, nella sua stessa natura.

Oggi sappiamo che, poiché tutto si svolge all’interno della nostra corporeità, in cui il cervello ha elaborato delle dinamiche di previsione e azione utili alla vita, è su queste dinamiche che dobbiamo interrogarci. Il nostro tempo ha scoperto (o riscoperto) da alcuni decenni che le pratiche della preghiera e della meditazione sono portatrici di benessere fisico, psichico e spirituale: se la vita umana vive e si sviluppa su queste tre coordinate la scienza deve necessariamente occuparsene, non per ridurle ad un banale spezzatino di esperimenti più o meno comprensibili, ma per scoprire le radici naturali di un potenziamento della vita che già si è mostrato in atto presso alcune esperienze individuali e comunitarie.

Se la vita ha per scopo sé stessa, tutto ciò che non la rispetta, non la valorizza, non la potenzia è una deviazione: la vita è un affare comune, come cristiani potremmo dire che è comunione. Quindi, come abbiamo visto nel brano citato del Vangelo di Marco, tutto ciò che la chiude entro i confini di un solipsismo egoistico, sia esso individuale, di gruppo, nazionale o ideologico, ne deturpa le possibilità di sviluppo e devia la sua evoluzione verso una inevitabile autodistruzione.

Vivere e far vivere è, quindi, il più bell’atto di fede che ciascuno di noi può compiere.

Ma a vivere con questa consapevolezza si impara giorno per giorno, con il proprio corpo che forma ciò che chiamavamo anima e spirito e che possiamo continuare a chiamare così solo a patto che ci sia chiaro che anch’essi sono il nostro corpo, ed è per questo che crediamo alla resurrezione come fatto accaduto e che continuamente si ripropone: la morte corporale va rivisitata, riletta alla luce della vita nella quale esiste; non è un’estinzione, una cancellazione, ma una trasformazione, un mutamento di stato necessario all’eternità sussistente nella vita stessa: come per i santi, per ciascuno di noi la morte può essere intesa come “una nascita al cielo”, un passaggio della vita, una trasformazione degli elementi di cui siamo fatti, in cui niente va perduto e di cui la vicenda di Gesù Cristo è viva testimonianza.

1Seth A., Come il cervello crea la nostra coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023, 283.

2Ivi.

3Id., 284.

4Id., 285-286.

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