martedì 30 aprile 2024

 

Sentieri


Teilhard de Chardin: discesa nell’abisso




Nella nostra ricerca sul Mistico abbiamo parlato a più riprese dell’esperienza di abbandono di ogni certezza che affronta chi ha il coraggio di penetrare nella propria interiorità. Il cammino necessario per giungere al fondo di sé stessi viene narrato da molti santi e guide spirituali, poeti e artisti; raro è trovarne testimonianza in persone che abbiano dedicato la loro esistenza alla ricerca scientifica. È quindi grande l’interesse che riveste la narrazione di questa esperienza che il padre gesuita Teilhard de Chardin (Orcines, 1881- New York 1955), paleontologo affermato e uomo di scienza, ci ha presentato nel testo L’ambiente divino1: dentro di noi incontriamo il mistero della vita stessa e questo ci lascia in preda all'angoscia, alla vertigine dell'immensità che potrebbe disperderci nella molteplicità dell'esistente se, dal fondo del nostro stesso abisso, non sorgesse una voce che ci immette in una impensata comunione.  
...Dunque, per la prima volta forse nella mia vita (sebbene si ritenga che io mediti tutti i giorni!), ho preso la lampada e, lasciando la zona apparentemente chiara delle occupazioni e relazioni quotidiane, sono sceso nel più intimo di me stesso, in quell’abisso profondo dal quale sento confusamente emanare la mia capacità di agire. Ora, a mano a mano che mi allontanavo dalle evidenze convenzionali che illuminano superficialmente la vita sociale, mi rendevo conto che la mia vita profonda mi sfuggiva. A ogni gradino che scendevo, scoprivo in me un altro personaggio, di cui non potevo più dire il nome esatto, e che non mi obbediva più. E quando fui costretto a porre fine alla mia esplorazione perché la strada veniva meno sotto i miei passi, vi era, ai miei piedi, un abisso senza fondo dal quale scaturiva, venendo da chissà dove, il flusso che oso pur chiamare la mia vita2.
[...]Noi possiamo pure, progressivamente, delineare lungo il corso delle generazioni, le parziali antecedenze del torrente che ci travolge. E possiamo inoltre, con certe discipline o certi eccitanti, fisici o morali, regolarizzare o ampliare il varco attraverso il quale lo stesso torrente irrompe in noi. Ma né con quella geografia, né con questi artifici, riusciremo mai, sia con il pensiero che con la pratica, a captare le sorgenti della vita […]. In ultima analisi, la vita profonda, la vita fontale, la vita allo stato nascente, ci sfuggono assolutamente.
Tutto commosso dalla mia scoperta, ho voluto allora risalire verso la luce e dimenticare l’inquietante enigma nel confortevole ambiente delle cose ben conosciute, - ricominciare a vivere in superficie, senza più sondare imprudentemente gli abissi. Ma ecco che, sotto lo spettacolo stesso delle agitazioni umane, l’Ignoto al quale volevo sfuggire è riapparso ai miei occhi ormai divenuti attenti. Questa volta, non si nascondeva più in fondo a un abisso; si dissimulava nell’intreccio vario e complicato dei casi che tessono la stoffa dell’Universo e della mia piccola individualità. Ma era proprio lo stesso mistero: io l’ho riconosciuto.
[…] Ho provato la vertigine quando ho preso coscienza di essere un altro, anzi un altro più grande di me. Ma l’ho provata anche di fronte alla suprema improbabilità, alla formidabile inverosimiglianza di trovarmi esistente, in seno a un Mondo ben riuscito. In quel momento, come chiunque vorrà tentare la stessa esperienza interiore, ho sentito su di me incombere la disperazione essenziale, quella dell’atomo smarrito nell’Universo, la stessa disperazione che, tutti i giorni, fa affondare tante volontà umane sotto il numero schiacciante dei viventi e degli astri. E se qualche cosa mi ha salvato, è stata solo la voce evangelica, riconfermata da tanti successi divini, la voce che, dal profondo della notte, mi diceva:«Ego sum, noli timere.» (Sono io, non avere paura.)3.

1T. de Chardin, L’ambiente divino, Il Saggiatore di Alberto Mondadori Ed., Milano 1968.

2Ivi, 73.

3Ivi, 74-75.

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