giovedì 18 aprile 2024

 

Pensieri

 

BUDDHISMO ZEN E INTERIORITA’



Il Mistico, che abbiamo imparato a cercare seguendo il pensiero di Edith Stein, è il nome che abbiamo dato a ciò che sta oltre la soglia del proprio io psichico, del piccolo mondo nel quale mettiamo in scena i nostri attaccamenti. Quel che troviamo oltre la soglia sono “i pensieri del cuore”, l’originario formarsi senza parole della vita che ognuno di noi è, una realtà che percepiamo confusamente come certa, ma della quale non possiamo racchiudere in piccole scatole di parole l’immensità avvolgente. Muovendoci verso l’esterno a partire da questo luogo originario, le percezioni e i pensieri di cui facciamo esperienza non sono più funzionali al nostro piccolo mondo egoistico, ma sono in grado di aprirci ad una fraternità di dimensione cosmica: la vita, in tutte le sue forme, ci viene incontro come un’offerta gratuita, una gloria inaspettata che suscita gioia, amore, rendimento di grazie.

In questo luogo indicibile che, come il mare, non possiamo trattenere tra le mani, entriamo attraverso la nostra interiorità. Ma cos’è l’interiorità di cui parliamo?

Il filosofo coreano Byung-chul Han sostiene che l’interiorità è proprio ciò che va superato, perché in essa si alimenta il nostro io, è la “nostra” casa che difendiamo dall’altro e che necessita di una oculata economia per sopravvivere; è quindi il luogo dove facciamo i conti e di cui difendiamo i confini. È quindi il luogo di origine di tutti i conflitti. Per avere pace dobbiamo liberarcene.

La visione del mondo buddhista zen non è rivolta verso l’alto né gravita intorno a un centro. Manca in essa il centro che tutto domina, o si potrebbe anche dire che il centro è dappertutto. Ogni essente costituisce un centro. In quanto centro gentile che non esclude nulla, rispecchia in sé tutto. L’essente svuota se stesso della propria interiorità (ent-innerlicht), si apre in modo illimitato a una vastità senza confini: “Dobbiamo scorgere l’intero universo in un unico granello di polvere”. Così l’intero universo fiorisce in un unico fiore di pruno.
Quel mondo che trova posto in un unico granello di polvere è di certo svuotato di ogni “senso” teologico-teleologico. Esso è vuoto anche nel senso che non è occupato né dal theos né dall’ anthropos.1

Uomo e dio sono dei centri di potere, nei quali non è possibile, proprio perché definiscono degli spazi propri, l’accoglienza gentile di tutto ciò che esiste. Liberarsi dell’interiorità significa abbandonare la propria casa, mettersi in cammino per nessun luogo e condividere l’esistenza con tutto ciò che si incontra fino a che la grande morte non ci riassorbirà nel tutto da cui veniamo.

L’essere in cammino, il non dimorare in alcun luogo, si congeda da ogni forma di trattenimento. E ciò non riguarda solo il rapporto con il mondo, ma anche il rapporto con se stessi. Non dimorare in alcun luogo significa non avere attaccamento verso di sé, non chiudersi ostinatamente in se stessi, dunque è abbandonarsi, lasciar andare se stessi, accettare anche la propria caducità nel bel mezzo della caducità di tutte le cose. Questo abbandono è la costitutiva disposizione del cuore che non dimora in alcun luogo...
Quella casa che si tratta di abbandonare a favore del non dimorare in alcun luogo non è un semplice spazio protettivo. È il luogo dell’anima e dell’interiorità, là dove mi compiaccio e mi avvolgo in me stesso; è lo spazio del mio potere e della mia proprietà, là dove sono in possesso di me stesso e del mio mondo.2

Ma cosa accade concretamente quando si intraprende questo cammino?

Il cuore che non dimora in alcun luogo, che non si attacca a nulla, aderisce al mutamento delle cose: non resta uguale a se stesso. Il non dimorare in alcun luogo è un abitare mortale. Il cuore che non resta attaccato a nulla, sciolto da ogni vincolo, non conosce né gioia né pena, né amore né odio. Il cuore non dimorante in alcun luogo è in un certo senso troppo vuoto per poter amare o odiare, gioire o soffrire. La libertà del distacco radicale presenta una singolare in-differenza (In-Differenz). In questa indifferenza (Gleich-Gultigkeit) il cuore è gentile e amichevole nei confronti di tutto ciò che viene e va.3

Questa è certo una liberazione, la massima forse raggiungibile dall’essere umano: nulla più possiedo né mi possiede, sono tutte le cose e tutte le cose sono me: l’io è totalmente estinto, l’interiorità non esiste più, la sua morte è compiuta.

Quando ciò accade è possibile l’ospitalità, poiché la casa che viene abitata a quel punto non ha più confini, si trova ovunque senza alcun possesso, così che tutto ciò che si incontra nel cammino itinerante dell’esistenza può essere accolto con gentilezza amichevole.

Il non dimorare in alcun luogo implica il Sì nei confronti del dimorare. Ma questo dimorare è passato attraverso il No del “nessun luogo”, del vuoto, è passato attraverso la morte. Quanto al “contenuto”, il mondo è lo stesso. Ma, gravitando intorno al vuoto, è diventato più leggero. Grazie a questo vuoto l’abitare diventa itinerante. Il non dimorare in alcun luogo non è dunque la semplice negazione della casa e dell’abitare. Piuttosto, apre una dimensione originaria dell’abitare. Fa abitare senza essere a casa presso di sé, senza insediarsi in se stessi, senza attaccamento verso se stessi e verso il proprio possesso. Apre la casa, la intona alla gentilezza amichevole. La casa perde con ciò la sua dimensione di economia domestica, l’angustia dell’Interieur e dell’interiorità. La casa si de-interiorizza per diventare un luogo di ospitalità.4

Questa tranquilla accoglienza gentile, non attraversata da emozioni né da grandi speculazioni, abita il quotidiano come suo luogo originario, dove l’unico senso è viverlo, così come un haiku è semplice trasparenza del mondo, senza significati nascosti da svelare o scoprire.

L’interiorità di cui ci parla Byung-chul Han è però solo un aspetto dell’interiorità che intendiamo quando parliamo de Il Mistico. Si tratta infatti dell’interiorità psichica, che certamente ha necessità di compiere il cammino di liberazione a cui invita il nostro filosofo per giungere al vuoto di sé che permette l’accoglienza gentile di tutto ciò che esiste. Questo percorso non è mai concluso, fino alla morte definitiva, la grande morte, perché sempre lungo il cammino è necessario liberarsi dagli attaccamenti che di volta in volta ci attirano.

Ma, in parallelo a questo viaggio psichico di liberazione, a questa morte continua che ci tiene nel vuoto, può avvenire anche una resurrezione: sentimenti ed emozioni, superata la soglia dello psichico, possono esprimersi come parte bella della vita e ricostituire un essere umano integrale, in grado di muoversi nell’esistenza a tutti i livelli perché sostenuto dall’esperienza di qualcosa che dà sapore all’esistenza: l’amore. Ciò che fa essere tutto ciò che è, non è una cieca casualità, il rispecchiamento egoistico di un dio geloso, oppure una continua lotta fra principi opposti che celebrano alternativamente le loro vittorie: ciò che fa sì che la vita sia lo chiamiamo con il nome più semplice e originario: amore, da cui scaturisce la gioia. La gioia e l’amore che sperimentiamo ne Il Mistico non sono più sentimenti intimistici, rivolti al proprio piccolo io, ma costituiscono l’energia inesauribile della vita che si diffonde senza limiti. L’amore vissuto ne Il Mistico è liberante per sé ma anche per la totalità del cosmo in cui si è immersi, fonte di gioia raggiante e creativa: nel momento in cui sono trasparenza di tutto ciò che esiste e il quotidiano diviene luogo della ospitale liberazione gentile, l’origine della vita in me riprende vigore e di nuovo tutto può iniziare, continuamente, senza sosta: sono reintegrato nel dinamismo della creazione che si espande in un dono reciproco tra me e ciò che esiste, manifestandosi come rendimento di grazie, come eucarestia senza fine.

I viaggi interiori ne Il Mistico non si esauriscono in sé stessi: vi è un andare e un tornare, ma ad ogni ritorno tutto si rinnova pur non uscendo da quel quotidiano che è la nostra più propria dimora. 

1Byung-chul Han, Filosofia del buddismo zen, nottetempo 2018,2022, 19-20. (Il grassetto è mio).

2Ivi., 100.

3Ivi, 105.

4Ivi, 109-110.

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