Immagin-azione
QUADRO SEDICI: MARIETTA
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Giunsero
così insieme in una radura fiorita, ma immersa in una fitta bruma
che si accaniva su un piccolo balcone, affacciato a un palazzone con
tante finestre.
Tra gli spessi riquadri della balaustra lucevano
bacche rosse e occhieggiavano piccoli fiori tondi e gialli, sporti
con curiosità verso la strada più sotto.
Da lì si vedeva, in tutta la sua imponenza, ergersi, sprezzante e crudele, il MURO.
Si
stendeva, cupo e grigio, per chilometri e chilometri, a perdita
d’occhio, tracciando una ferita scura e netta fino
all’orizzonte.
La sua massa colossale lacerava il territorio
circostante e separava con rabbia la città dal diffuso e quieto
chiarore che si espandeva al di là di essa.
Già molte strade e
case e palazzi stavano schiacciati all’ombra del grande MURO, che
pareva alzarsi e crescere vieppiù, fin quasi al cielo.
Solo
dai palazzi più alti ancora si scorgeva qualche barlume della calma
pace che dietro esso stava.
Bisognava altrimenti levare il capo
e stare così, con la testa arrovesciata verso la schiena, a guardare
brani di azzurro cielo che ancora splendevano in alto, tra gli
artigli del MURO.
Ma in quel punto, dove quel terrazzino in ferro battuto ormai sgangherato protuberava all’esterno, il MURO pareva più basso.
Vi
era in esso una concavità strana, come se qualcuno o qualcosa avesse
camminato sopra di esso in quello spazio, attraversandolo
incessantemente per andare di là e poi tornare, consumandone così
la sostanza.
E mentre a destra e a sinistra l’ombra già
avvolgeva, rendendole indistinte, pareti e finestre, lì invece si
posavano senza fatica e inciampi i raggi del sole.
Dietro
i vetri, chiusi per il rigore invernale, stava una donna non più
giovane, ma ancora non imbiancata dal tempo, seduta su una sedia a
rotelle.
La stanzuccia era misera, arredata con mobili di poco
prezzo e qualche stampa alle pareti: un bimbo, un gatto, un vaso di
fiori, il Signore Gesù.
Sul letto faceva bella mostra di sé un
copriletto a uncinetto, tutto di grossi rombi multicolori, che
rallegrava l’ambiente illuminato solo dalla porta finestra.
Sopra
il tavolo, circondato da quattro sedie, una grande pianta grassa
fioriva in viola, evidenziando un centrino candido, ricamato a
piccoli cesti di rose.
In un angolo vi era un lavello con lo
scolapiatti, la cucina a gas e un piccolo frigorifero, mentre una
porta angusta portava forse a un piccolo servizio.
Infilati nei
riquadri di un vecchio buffet con vetrina si intravedevano fotografie
di volti sfocati e cartoline con paesaggi e saluti; sul ripiano, un
lumino brillava dentro una piccola grotta in plastica portata da
Lourdes, ai piedi del quale Bernadette, col suo bianco fazzoletto
sulla testa pregava la Madonna.
Tutto
era a posto e pulito e un leggero aroma di pino si levava dai
termosifoni appena tiepidi, diffondendosi piacevolmente
all’intorno.
Vi era un grande silenzio, non interrotto nemmeno
dal ticchettio della grossa sveglia che campeggiava accanto al letto,
incurabilmente guasta.
Marietta pareva immobile, abbandonata in un tranquillo torpore, con il vecchio plaid gettato sulle ginocchia e le grosse pantofole marroni ai piedi, mentre le prime luci del mattino sbirciavano alla sua finestra e lanciavano barbagli chiassosi sulla sua coperta, sulle suppellettili, sul volto della donna.
Maistral vide in quel momento un leggero movimento scorrere sulle labbra di Marietta, impercettibile quasi: forse un bisbiglio, o un afono lamento, mentre gli occhi perfettamente chiusi non mostravano accorgersi delle luci monelle che vi danzavano sopra.
Guardò
meglio; si accorse allora che qualcosa trascorreva con lentezza
regolare tra le dita raccolte nel grembo: un rosario, coi grani
piccoli e fosforescenti che accompagnavano il movimento della bocca:
“…prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra
morte. Amen.”
Terminata la preghiera, la perlina che aveva
brillato un attimo lassù, tra pollice e indice, spariva nella mano
paffuta e si rimetteva in fila, ad aspettare il suo turno.
Maistral
rimase a fissare Marietta mentre pregava così, con gli occhi chiusi,
fino a che la sua attenzione non fu attratta da quella che poteva
apparire come una coincidenza: ogni volta che la donna arrivava a un
“Amen”, dal MURO si staccava un polverìo che si perdeva
nell’aria, lontano.
Poi, completata una decina, un sassetto
cadeva giù, sbriciolandosi nella terra pestata, mentre a ogni corona
una grossa pietra franava, rimbalzando fino al fosso che correva di
lato alla strada, per poi sparire giù giù, nelle fogne.
Infine
si completò tutta la grande preghiera, e un pezzo intero del MURO
ruzzolò in basso, metà di qua e metà di là, e si arrestava il
procedere arcano che cresceva il MURO fino al cielo.
A
ogni polverìo una foglietta veniva ad unirsi all’insieme che ora,
nella radura, zittamente posava; a ogni sassetto o pietra un gruppo
d’ombre abbandonato nell’aria veniva portato non si sa come,
mentre si udiva sussurrare: “Dove? Dove?”.
Quando poi
Marietta terminava l’intero ciclo si sentiva il volo di molte
farfalle e tutte, tutte le foglie radunate si levavano in alto,
mutate, con ali di fiamma e d’oro, di cobalto e di smeraldo,
accompagnando le litanie finali con un chiaro sospiro di risposta:
“Intercedi per noi!”, e slanciandosi infine nella lucente
prateria al di là del MURO.
Pieno di stupore Maistral non
proferiva parola o pensiero; restava immerso nell’erba mentre
intorno a lui la bruma si alzava in forme indefinite che insieme gli
parlavano:
Per
te
ancora lume di stelle
la nera notte
acchiara.
Prega
per noi
che dalla fitta bruma
portiamo
i nostri passi
al Padre:
luce
farà al cammino
la terra desolata
finchè insieme
all’Amor
si sia.
Marietta
intascò il suo rosario e Maistral si sentì scuotere rudemente
mentre una voce sgraziata gridava: “Ehi! Tiress su! Dai Dai!…Ma
varda ti!…Tiress su che gu de laurà!”.
Maistral si sforzò di alzarsi mentre quello lo strattonava, lo sberlottava e lo spingeva senza riguardo, cercando di toglierlo dai sacchi di spazzatura.
Da “Il viaggio di Maistral”, di Loredana Amalia Ceccon. Inedito
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