mercoledì 25 gennaio 2023

Sentieri



Stanislas Breton e l’immaginario-nulla


 

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È giunto il momento di iniziare a farvi conoscere un filosofo e teologo francese molto noto e apprezzato in Francia, ma quasi sconosciuto da noi in Italia: Stanilas Breton, padre passionista, nato a Gradignan nel 1912 e morto a Bry-sur-Marne nel 2005, un uomo che ha attraversato lo scorso secolo, con le tragedie e le innovazioni scientifiche che lo hanno caratterizzato, portando il suo sguardo acuto e la sua fede salda a testimonianza di un cristianesimo capace di riflessione, di dialogo e di confronto per un futuro umanamente buono.

Pensatore e scrittore fecondo, le sue opere più importanti vedono la luce in un arco temporale che va dal 1951 al 2000: possiamo quindi considerarlo un contemporaneo. Estremamente contemporanea, anzi lungimirante, è una sua opera tutto sommato ridotta di dimensioni, praticamente introvabile (ho trovato miracolosamente una copia in Inghilterra!): Ȇtre, monde, imaginaire, pubblicata a Parigi nel 1976 e che personalmente considero la chiave di comprensione di tutta la sua opera. In questo testo, che segue il ben più impegnativo e ponderoso Du pricipe. l’organisation contemporaine du pensable (Aubier, Parigi 1971), il nostro autore mostra di avere già colto la necessità di affrontare con gli strumenti della filosofia e della teologia un argomento, l’immaginario, che pareva ancora far parte di un campo determinato della osservazione e della riflessione: l’Estetica, che era intesa solo come pensiero intorno al prodotto artistico e alle sensazioni e sentimenti ad esso correlati.

Breton sposta il fuoco dell’attenzione dall’immagine alla sua produzione, all’interiorità in cui si forma.

Certo, la psicologia emergente con Freud e più ancora con Jung, aveva iniziato ad occuparsi in modo massiccio delle immagini presenti nei sogni o elaborate in situazioni psicologiche disturbate, oppure appartenenti al patrimonio simbolico di diversi gruppi etnici, così come emergevano dagli studi antropologici e sociologici dell’epoca: pensiamo a Eliade o a Pettazzoni.

Ma quello che appariva assurdo a padre Breton era che si operasse una separazione netta tra logos, inteso come pensiero raziocinante, e mito, inteso come espressione dell’irrazionale e dell’impossibilità di dare senso.

Il punto di convergenza di questi due ambiti gli è apparso evidente: l’immaginario è il luogo da cui entrambi prendono origine e che ne determina figure e forme.

Ma se ci poniamo di fronte all’immaginario, a quel luogo magmatico e cangiante da cui continuamente attingiamo le nostre possibilità di progetto e creatività, ci rendiamo conto che proprio lì ci è data un’esperienza destabilizzante e a volte tragica: l’esperienza del nulla.

Certo, perché l’immagine ci presenta continuamente qualcosa che non è: ciò che vedo è passato, oppure è futuro, ma anche il fatto stesso che un oggetto mi si presenti come immagine lo allontana dalla mia presa; se pure è presente, l’immagine lo allontana, lo conduce nella mia interiorità trasformandolo in qualcosa che non è, ne fa una presenza assente. Qualcosa che è e non è, qualcosa che continuamente ci sfugge e che pure ci determina, spingendoci ad una incessante elaborazione che rischia di sfiancarci e distruggerci.

Bisogna allora che, di fronte al nostro immaginario, ci rendiamo conto che non possiamo possederlo, che il suo scopo è farci rendere conto che la nostra esistenza vive anche di altro rispetto a quelli che credevamo i nostri bisogni fondamentali, che siamo fondati su un inattingibile .

Abbiamo allora tre alternative: o affondiamo nella disperazione, o viviamo occultando questa esperienza fondativa, o ne prendiamo coscienza, ponendoci con umiltà di fronte ad essa.

La terza opzione, che richiede grande determinazione e coraggio, è quella che hanno scelto i mistici, non solo della religione cristiana, e che molti artisti hanno sperimentato e tentato di esprimere nelle loro opere. Ma è anche esperienza quotidiana di persone comuni, che si affidano al mistero di cui sono stati resi consapevoli con serenità e pace.

Una teoria? No, un’esperienza, continuamente offerta, che ci educa a dimorare nel Nulla per eccesso che chiamiamo anche con il nome di Dio e della quale lo stesso Breton ci indica degli esempi nelle sue opere. L’esperienza dell’immaginario-nulla purifica il nostro sguardo, ci permette di passare attraverso le innumerevoli sollecitazioni che ci vengono offerte e che noi stessi produciamo mantenendo la nostra libertà, non facendoci incantare e incatenare dalle sirene che ci attirano, per giungere all’origine del nostro essere-così-come-siamo.

La Croce è per Breton, e per chi lo accompagna nel suo percorso, il paradigma magnifico ed esauriente di questa esperienza, attraverso la quale impariamo a camminare dentro la sofferenza nostra e dei nostri simili come una realtà nella quale si apre il mistero dell’esistere, in fraternità con tutti gli esseri.

Ma, come vedremo considerando altri autori, l’esperienza di derelizione e di resurrezione che è contenuta nell’ostrica perlacea che è il nostro immaginario-nulla, non è appannaggio esclusivo dei credenti in Cristo: i suoi percorsi, i suoi aneliti, le disperate speranze che la accompagnano, l’inesauribile creatività che ne scaturisce, conducono altri esseri umani, in luoghi e tempi differenti, sulla soglia di un mistero a cui non sanno spesso, o non vogliono, dare un nome che lo racchiuda in stabiliti confini. Merito di Stanilas Breton è stato rendersi conto che è necessario sviluppare un altro modo di guardare, un altro sguardo, per cogliere questa esperienza in tutte le forme in cui si manifesta.

 

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